Non so cosa dire: come parlare di tumore in famiglia

“Il difficile sta nel cominciare”

gallucci psicologo torino

Un tumore sconvolge la vita.
La sconvolge nei progetti, negli equilibri, nelle dimensioni personali e relazionali delle persone.

Uno degli aspetti più difficili che ho riscontrato spesso durante il percorso di cura è quello di affrontare l’argomento “tumore” con i familiari: il cancro diventa inevitabilmente una questione di famiglia.

Non so cosa dire è la frase più frequente delle persone che si trovano ad affrontare il tumore dei loro familiari.
Comunicare e affrontare questo tipo di argomento è spesso difficile e doloroso: si ha paura di parlare nel momento sbagliato, di non dire la "cosa giusta", è difficile trovare le parole adatte per dirsi qualcosa.

Possono prevalere dubbi, domande, paure.
Come si fa a comunicare una malattia grave alle persone più care? Si può avere voglia di urlare il proprio dolore e le proprie angosce? Come si fa a pronunciare la parola “tumore” anziché usare termini come “il male”, "la macchia", “quella cosa”...?

Purtroppo non ci sono formule magiche, “frasi giuste” da dispensare al bisogno come bacchette magiche.
Più che mai quello che conta non è soltanto ciò che diciamo, ma soprattutto come lo facciamo.
Non c'è tanto IL momento giusto, ma ci può essere invece qualche piccolo suggerimento per maturare e concedersi UN momento giusto:

  • Cercare le proprie parole, quelle che ognuno sente, con i suoi modi e tempi. Non c’è un momento in cui “dovrebbe succedere” o si “dovrebbe dire”…
  • Concedersi il tempo necessario, prima di tutto a sé stessi e poi agli altri
  • La comunicazione verbale va bene, ma ricordiamoci che ci sono i canali non verbali: ci si può toccare, stringere la mano, accarezzare, abbracciare. La comunicazione non verbale è il canale migliore per trasmettere all'altro non solo il contenuto, ma soprattutto la parte relazionale ed affettiva di cosa vogliamo comunicare
  • Stare in silenzio a volte può essere la migliore comunicazione possibile in una situazione delicata perché permette di so-stare in presenza dell'altro senza il bisogno di riempire un vuoto con parole inautentiche e inefficaci
  • Autorizzarsi di vivere le emozioni qui-e-ora, momento dopo momento, così come vengono: spesso per paura si evita di "vomitare" le emozioni e si reprimono. Ma provare e comunicare le proprie emozioni, anche quelle negative, non è segno di debolezza, anzi, fa parte del processo comunicativo e relazionale. E condividerle favorisce la creazione di uno spazio di confronto, dialogo e partecipazione per tutti
  • Stare nell'incertezza è difficile ma necessario: ricordiamoci che nessuno ha le risposte sempre a tutto, che rispondiamo quando possiamo e diciamo “non lo so” quando non le abbiamo
  • Essere pronti a usare in modo adatto una giusta dose di umorismo che può aiutare la comunicazione e la relazione anche di vissuti difficili.

A volte il senso d'impotenza di fronte alla malattia grave sollecita una tendenza all'iperprotezione, ma spesso con le migliori intenzioni si ottengono effetti contrari: si rischia di evitare l'argomento, dare consigli non richiesti sul come e cosa si “dovrebbe” fare per stare meglio, sostituirsi quasi alla persona malata.

Desiderare di aiutare le persone care che soffrono è un sentimento molto nobile, e un buon modo per farlo è quello di promuovere il loro benessere e autonomia in modo funzionale e graduale, in quello che si può fare, aiutandole in piccole occasioni quotidiane.

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Che cos'è la psicologia

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“La psicologia, per me, è aprire le ostriche e pulire le perle,
cioè recuperare e portare alla luce e indossare quotidianamente la vita dell’immaginazione,
che può non redimere la tragedia,
non lenire la sofferenza,
ma può arricchirle e renderle più tollerabili, interessanti e preziose”.
(James Hillman, psicoanalista)

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Cosa succede quando un amore finisce

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Tutti conosciamo la sofferenza di una storia d'amore che finisce: frasi, ricordi, emozioni...

Dato che non esiste una formula magica per eludere questo dolore, è importante ricordare di non fermare la propria vita ed evitare i classici pensieri irrazionali che, in situazioni simili, si possono presentare frequentemente.

Una separazione interrompe il senso della progettualità che è inconscia e naturale in ognuno di noi.
Ci costringe a ricominciare il gioco delle relazioni: riprendersi dopo la fine di un amore può essere un percorso di risalita impegnativo, ma non impossibile.
Inizia a darti il tempo necessario.

Quando perdiamo una persona che amiamo, si creano mentalmente dei pensieri negativi che bloccano il naturale percorso di elaborazione della separazione.
Di seguito, tre frasi frequenti e pensieri da evitare.

1# "era tutta la mia vita"
Se lo scopo principale della vita era l'altra persona e progettavi tutto in sua funzione, significa partire dal presupposto della cancellazione personale.
Questa rottura invece forse ti ha liberato e può farti capire che il protagonista della tua vita sei tu.
E imparare che l’amore autentico porta al compimento di se stessi, non all'annullamento per l’altro.

2# "è solo colpa mia"
E’ normale iniziare a fare congetture del tipo “se avessi fatto o detto… allora...”.
Purtroppo il corso della storia non può essere cambiato, e fissare i pensieri sull'idea che le colpe per la fine del rapporto siano da imputare a te, all'altro, alle cose fatte o mancate, non ti aiuta nel percorso di elaborazione.
Quando finisce una storia d'amore, dare colpe e assoluzioni permette di poter sperare che, cambiando il comportamento, la relazione possa ricominciare.
Ma è spesso un'illusione. Anzi si rischia di rallentare la presa di coscienza.

3# "é stato inaspettato"
Quante volte abbiamo sentito “Mi ha lasciato ma non capisco il perché!”.
Non dire bugie a te stesso, ma impara ad analizzare i cambiamenti avvenuti in te, nell'altro e nella tua storia.
Quando l’amore manca, i segnali ci sono, siamo più noi a non poterli o volerli cogliere.

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Il segreto della felicità: a cosa (non) serve una psicoterapia

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Quando una persona chiede di iniziare una psicoterapia, alla base della sua domanda c'è spesso un bisogno, quello di diventare felice.

Mi dispiace deludere i miei pochi lettori, ma è bene sapere che questo rimarrà un'illusione.

La psicoterapia, ovvero la cura dei disturbi psicologici, non ha l'obiettivo di rendere le persone felici.
Scopo della psicoterapia è invece rimuovere gli ostacoli psichici e relazionali che impediscono alla persona di essere felice.
E c'è una grande differenza.

La felicità è una dimensione che solo parzialmente è collegata al benessere psicologico (come ad esempio il piacere di fare sport è solo parzialmente collegato a una buona struttura fisica).
Stare bene psicologicamente è una condizione per essere persone felici e realizzate.
Condizione necessaria, ma non sufficiente.

Alcune volte la psicoterapia è indispensabile perché ci sono persone che hanno difficoltà più o meno importanti che richiedono un intervento psicologico professionale.
Al termine di un percorso di psicoterapia riuscito, anche se quelle difficoltà sono superate, il paziente non è automaticamente una persona felice, ma è diventato una persona che può più facilmente intraprendere la propria strada verso la sua felicità.

La psicoterapia è uno strumento molto potente per aiutare una persona a scoprire quali siano i fattori che limitano la sua espressione nel suo benessere psicologico, e per imparare ad affrontarli con le sue risorse in modo migliore.
Solo una volta raggiunto questo obiettivo, sarà l'uso che ne farà a permettergli di realizzarsi pienamente e raggiungere la felicità.
Ma quella è un'altra storia. La sua.

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