Emozioni dolorose: gestirle o affrontarle?

"Quando qualcuno vi chiede "Come ti senti?", è difficilissimo trasformare processi neurali così elusivi e dinamici in un'asserzione verbale"
(Daniel J. Siegel, psichiatra, 1999)

Ci sono sensazioni ed emozioni a volte troppo intense, spaventose, pericolose...
Ma dobbiamo sapere che delle emozioni dolorose possiamo farne tendenzialmente due cose: gestirle oppure affrontarle.

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Gestire le emozioni difficili significa cercare di trasformare il nostro stato d'animo negativo in qualcosa di più positivo. Succede spesso in questi modi:

  • Agire, fare qualcosa: ad esempio, mettere in ordine, fare le pulizie, controllare in modo ossessivo qualcosa o qualcuno, allontanarsi, mangiare, bere o fumare, assumere droghe, attaccare qualcuno. Persino togliersi la vita è un modo estremo di gestire le emozioni attraverso l'azione
  • Sostituire l'emozione dolorosa con una più facile da comunicare e gestire: ad esempio sostituire sensazioni di rabbia o dolore con altre più tollerabili, con frasi come "Sono stanco", "Ho fame", "Sono confuso"
  • Concentrarsi su un'emozione meno minacciosa: ad esempio un uomo invece di ammettere di essere arrabbiato con sua moglie, si può mostrare più preoccupato, chessò, che possa rompersi la caldaia...
  • Rimpiazzare l'emozione dolorosa con una preoccupazione per un sintomo corporeo: la paura suscitata da sensazioni mentali pericolose si concentra e si trasforma in paura per sintomi corporei, a volte fino a generarli effettivamente.

Gestire le emozioni dolorose quindi non significa riflettere o accettarle in modo da poterle affrontare, ma ricorrere ad azioni specifiche o espedienti mentali più o meno consapevoli per smettere di provarle, impedire che arrivino alla coscienza, evitare perfino di ammettere che esistano.

Al contrario, affrontare le emozioni dolorose significa accettarle e riflettere su di esse, meglio se in presenza di un altro che, con empatia, possa essere d'aiuto.

E' affrontando le emozioni provocate dalle esperienze relazionali dolorose che le si può assimilare e cambiare.

Al contrario, se non si affrontano, possono continuare a fare danni nella vita di una persona, anche a lungo termine.
Perchè il passato non può diventare tale finchè non viene affrontato nel presente.

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Quando qualcuno mi dice "Mi sento depresso"

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"Quando qualcuno mi dice <Mi sento depresso>, io non so che cosa significhi, è un'affermazione vuota.
Nessun contenuto sensoriale, nessuna immagine.
La parola è un compromesso con la depressione, che aiuta a reprimerla, ammettendola in modo vago, astratto.
Perciò nella pratica, io voglio ottenere risposte più precise, arrivare al linguaggio di Venere, a esprimere con le parole la sostanza, l'immagine dello stato dell'anima, la sua inclinazione complessiva: tutto ciò che è scomparso sotto il peso di un termine <tecnico> vacuo e insulso come <depressione>.
Questo è un terribile impoverimento dell'esperienza reale"
(James Hillman, 1983)

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Il lutto in adolescenza

Il processo di elaborazione del lutto è sempre complesso, ma quando la morte di un genitore o di una persona cara avviene durante l'adolescenza lo può essere di più.

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Sappiamo che l'adolescenza, con i suoi grandi mutamenti fisici, psicologici e relazionali è una fase di transizione critica della vita: il corpo e la mente cambiano e abbandonano i loro tratti infantili e debuttano nel mondo adulto.

L'adolescente si trova a metà strada tra il mondo infantile e quello adulto, oscilla tra dipendenza-attaccamento e aggressività-insofferenza nei confronti della famiglia e delle sue regole. Comincia ad affermare e costruire la propria identità, ma per fare ciò deve abbandonare le sicurezze e il senso di protezione dell'infanzia e iniziare un necessario processo di distanziamento dai genitori.

La morte di un genitore costituisce così un fattore di rischio ed una interferenza in questo processo di crescita.
Durante l'adolescenza la morte di un genitore, di un familiare, o di un amico, risulta un'esperienza particolarmente difficile da affrontare.
Gli adolescenti si sentono onnipotenti, considerano stessi e gli altri invincibili e immortali; nel loro immaginario solo le persone anziane muoiono, quindi la morte di una persona cara diventa difficile da elaborare.

Gli effetti della morte di un genitore sull'equilibrio emotivo e psicologico del figlio dipendono dalla sua età, delle modificazioni avvenute in seguito (capacità dell'altro genitore di superarla, il modo in cui il genitore superstite comunica col figlio, il ruolo svolto dai parenti e dagli adulti di riferimento, ecc.), e dalle circostanze della morte (ad es. improvvisa, come nel caso di un incidente, oppure dopo una lunga malattia, o per suicidio, o per morte naturale, presenza o meno del ragazzo al momento della morte del genitore).

Esistono naturalmente differenze se il lutto insorge nella prima adolescenza (dai 12 ai 14 anni) quando i ragazzi dipendono ancora largamente dalle figure genitoriali e adulte, o invece nella seconda adolescenza (tra i 14-18 anni), quando il mondo esterno, soprattutto il gruppo dei pari, diventa un significativo punto di riferimento.

Quando un genitore muore, in primo luogo prevalgono i processi difensivi e la negazione del dolore, per poter andare avanti continuando a sentirsi vivi e per proteggersi da vissuti angosciosi e intollerabili.

Sono spesso in primo piano depressione e sintomi correlati (disinteresse, isolamento sociale, disinvestimento scolastico, disturbi somatici e del comportamento, ecc.) e sentimenti di colpa nei riguardi del genitore scomparso: l'adolescente ha spesso dei rimorsi di non essere stato abbastanza ubbidiente, di non aver mostrato il suo amore, ascoltato i consigli e le raccomandazioni, di non essere stato capace di evitare la morte della persona, di non averla potuta "salvare".

E' frequente che gli adolescenti si esprimano più attraverso manifestazioni di rabbia che di tristezza, non solo perchè la rabbia tiene a bada e nasconde il dolore, ma anche perchè è un'emozione con cui hanno più familiarità.

E' possibile aiutare gli adolescenti nel processo di elaborazione del lutto incoraggiandoli ad esprimere le proprie emozioni, le proprie sensazioni, e rassicurarli sul fatto che il pianto, la rabbia, il senso di colpa, la tristezza, l'apatia, il senso di inutilità, la nostalgia, la paura, la disperazione che provano sono normali.

E' importante ascoltare quello che i ragazzi si sentono di dire, senza pensare di dover necessariamente fornire risposte o soluzioni.

Evitare di parlare della morte e delle emozioni legate al lutto non cancella il dolore, ma lo rinvia solo e lo inasprisce.

E' importante per gli adolescenti, inoltre, poter riprendere al più presto la loro abituale routine.

Gli adolescenti in lutto possono manifestare molti segnali di disagio come ad es. calo del rendimento scolastico, comportamenti a rischio (es. abuso di droghe o alcol), depressione, irrequietezza, ansia, difficoltà del sonno, perdita di autostima, disturbi del comportamento alimentare, deterioramento delle relazioni con la famiglia o con gli amici, atteggiamenti insolitamente protettivi e adulti  o, viceversa, insolitamente aggressivi e violenti nei confronti degli altri familiari.

Questi comportamenti sono indicazioni che l'adolescente sta incontrando difficoltà ad affrontare da solo la perdita di una persona cara ed è pertanto importante non trascurarli in una fase di vita così delicata di transizione e di formazione di un "Io" adulto.

La presenza solida, costante e affettiva dell'adulto (genitori, parenti, amici, insegnanti, consulenza di uno psicologo) è fondamentale nella fase del lutto.

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