Guardare fuori, guardarsi dentro. Riflessioni su fotografia e psicologia

"Fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere" (Henri Cartier-Bresson)

Qualche tempo fa ho avuto il piacere di conoscere Davide Pellegrino, un fotografo che mi ha contattato per un documentario.
Da quell'incontro sono nate alcune riflessioni sul significato psicologico della fotografia e del fotografare, che condivido in questo post.

Perché quindi fotografiamo? Cosa ci spinge a conservare le fotografie nei nostri album reali o virtuali? Qual è il senso e i meccanismi psicologici del fare (e vedere) una fotografia?

gallucci psicologo torino

Iniziamo a dire che psicologo e fotografo hanno in comune l'interesse per il mondo circostante, tendono a esplorare con gli occhi e la mente i comportamenti individuali e sociali delle persone.

Uno vede più la fotografia-come-comunicazione, l'altro se ne occupa dal punto di vista della fotografia-come-arte.

La fotografia è tra le arti quella che in teoria ha un significato oggettivo, quello di immortalare un istante della realtà, così com'è.
In realtà è profondamente soggettiva, perchè non è separabile nè da chi l'ha creata nè da colui che la osserva.
Basta ad esempio pensare al semplice caso delle illusioni ottiche, in cui nella stessa immagine "oggettiva" persone diverse vedono cose diverse.

Ogni immagine è quindi non solo e non tanto una descrizione "oggettiva" della realtà, ma prima di tutto una creazione mentale.

Fotografare è dare spazio e corpo ad un’immagine interiore, ai motivi consapevoli e inconsci che hanno portato a scattare quella foto in quel particolare istante, a scegliere quel soggetto e non un altro, a focalizzarsi su un punto ed escludere dall'inquadratura il resto, a partire dal proprio punto di vista percettivo ed emotivo.

Il fermo immagine fotografico corrisponde dunque prima di tutto a fermare un’immagine psichica, metterla in risalto ed in rilievo, a fissarla nel tempo per poi condividerla.
In questo senso, l’obiettivo di una macchina fotografica, che lo si voglia o no, mette sempre a fuoco il mondo interiore almeno quanto quello esteriore.

Ad un livello psicoanalitico l’atto del fotografare è strettamente connesso ai processi di introiezione e proiezione, come medium tra la realtà fisica e la realtà psicologica: l’esterno viene catturato e introiettato e poi trasformato sulla base dell’interiorità del fotografo.
Nel tempo dello scatto, il fotografo deve quindi compiere un doppio movimento psichico che va dall'esterno all'interno, per poi tornare nuovamente all'esterno elaborato sulla base della propria soggettività.

Analogamente, di fronte a un’immagine fotografica, chi guarda compie o dovrebbe compiere lo stesso doppio movimento di chi fotografa, dall'esterno all'interno, e poi nuovamente all'esterno.

Proprio perchè ogni foto è soggettiva, viene interpretata in modo diverso da ogni osservatore, che proietta i propri vissuti e le proprie emozioni sulla foto.
Due spettatori (e due fotografi) non daranno mai lo stesso significato alla stessa fotografia.

Le fotografie possono, quindi, servire come catalizzatori non verbali per esprimere emozioni, sentimenti, ricordi, sensazioni, a volte esclusi dalla coscienza.

Per questa ragione la foto può rappresentare ciò che Winnicott (1971) definisce ‘area transizionale’, uno spazio intermedio che collega diverse realtà senza che il suo spettatore se ne accorga: è il luogo dell’illusione, del sogno, del gioco.

Un comune scatto fotografico può dare forma e struttura ai nostri più profondi stati emotivi e alle nostre comunicazioni inconsce.
Serve da ponte tra l'esterno e l'interno, tra il sé interiore, che sta sotto la consapevolezza cosciente, e il sé che possiamo conoscere.
E tra il sé di cui siamo coscienti dentro di noi e il sé che di noi vedono gli altri (da qui deriva quella sensazione di "scarto" e sorpresa nel ri-vederci e ri-conoscerci a volte nelle foto, oppure quando sentiamo la nostra voce registrata).

L’oggetto-foto è mediatore, grazie a cui l’inconscio può divenire conscio.
Ha una doppia polarità tra l’oggetto e il soggetto, il dentro e fuori, tra il suo lato della realtà materiale, visibile, tangibile e il suo lato simbolico, psicologico, spesso inconscio.

Chi fa la foto (e chi la guarda) si muove in quest’area di mezzo, in cui si mettono in gioco le proprie potenzialità interpretative e creative.
Tra il pensiero secondario, logico, razionale, verbale e il pensiero primario in immagini, quello che, come diceva lo stesso Freud, è più vicino ai processi inconsci, che fa reagire il soggetto favorendo il contatto con le proprie immagini interiorizzate e gli affetti che le accompagnano.

Poichè il significato dello scatto dipende più dalle emozioni vissute e narrate che da ciò che quella stessa immagine rappresenta visivamente, non dovrebbe sorprendere che le fotografie spesso attivino memorie profonde, forti sentimenti, altre narrazioni.

Ogni foto contiene sempre una storia da raccontare: la storia delle mani che l’hanno immortalata, la storia di quello che è successo prima e dopo lo scatto, la storia di ciò che continua oltre la foto stessa.

Perchè succede che fotografie viste già la prima volta e di cui non sappiamo nulla ci colpiscono così tanto emotivamente?
Quando una foto si impone a noi, ci colpisce più del solito, non è più una semplice fotografia.
Quando una foto ci dice qualcosa, "ci parla", è diventata un’immagine che risuona delle nostre immagini interiori.
Ci fa pensare, ci com-muove, può evocare situazioni del tutto diverse, ci riporta per analogia ad altri ricordi.

(Roland Barthes a questo proposito parlava di punctum, la puntura inferta solo da alcune immagini, quelle con quel dettaglio che spiazza l’osservatore senza che egli possa spiegarne facilmente a parole il motivo).

Questo aspetto legato al non verbale rende le fotografie uno strumento molto utile per contattare il proprio mondo interno, esteriorizzare un’emozione per poterla affrontare ed elaborare.
L’immagine utilizza un linguaggio simbolico per esprimere quello che a volte è difficile o impossibile comunicare con le parole.

La possibilità di esprimere, attraverso delle immagini, contenuti psichici intensi e lontani dalla coscienza, può generare così un’esperienza liberatoria e trasformativa.

Per vedere le splendide foto di Davide Pellegrino, vi consiglio di visitare il suo sito.

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